I punti chiave
- Miuccia Prada e Raf Simons intendono il vestito come uniforme legata al ruolo e al lavoro
- Tod’s punta su un buon gusto aggiornato e corrente
- Etro centra lo scopo: ringiovanire
La temperatura della mascolinità, sulle passerelle milanesi, è fredda solo in apparenza. Il ghiaccio bolle dietro l’aplomb irremissibile e la classicità ripensata. Perché la morale della breve kermesse di show fisici e virtuali è chiara: i tempi della sciatteria, giovanilistica o semplicemente casalinga, sono finiti. Si riscopre il vestire come cerimonia, fatta di pensiero, consapevolezza e rappresentazione.
Gli uomini di Prada – finalmente adulti, se non all’anagrafe di certo nel modo di porgersi ed essere: una durezza spalluta pericolosamente vicina alle fantasie di Demna per Balenciaga – non scoprono un centimetro di pelle, serrati dentro guanti e dolcevita sotto camicie e giacche, eppure trasudano sensualità. Il dialogo tra Miuccia Prada e Raf Simons, co-direttori creativi, si concentra sul vestito come uniforme legata al ruolo e al lavoro: qualsiasi tipo di lavoro, a patto che gli abiti diano importanza alla persona. Disegnano un maschio utopico-distopico che arriva in passerella da un tubo catodico, e lo fanno interpretare da un cast di modelli e attori di ogni età, inclusi Kyle MacLachlan e Jeff Goldblum intabarrati in pastrani da nomenklatura, il passo reso pesante dagli stivali squadrati. La mescolanza di segni, con la tuta operaia che finisce sotto la giacca sartoriale, e i dettagli di mohair a pelo lungo da sciura su orli e maniche, è un classico Prada, riletto con il gusto angoloso di Simons. Sul tema del potere la Signora si era espressa con una sfilata memorabile nel 2012. Oggi si ritorna sull’argomento con concentrazione e qualche forzatura, ma non molta sorpresa. La ragion d’essere di Prada è sempre stata fare il contrario degli altri. Oggi, si percorrono vie note.
Pensa al classico come bene rifugio da stravolgere in sottigliezza Walter Chiapponi, che da Tod’s continua a dare una interpretazione di Italian Style che appare pacata nell’espressione e rassicurante nell’estetica, senza per questo risultare rinunciataria o noiosa. Chiapponi non tenta la moda estrema, che da Tod’s non avrebbe senso, ma propone un buon gusto aggiornato e corrente, fatto di proporzioni ripensate e molta individualità, perché sbracare è facile, mentre l’armonia richiede dedizione.
Kean Etro manda in passerella un plotone di scolari, con tanto di libro in tasca, negli spazi dell’università Bocconi, unendo la metafora della conoscenza come viaggio all’idea del viaggio a nord come avventura di formazione. Dalla rosa botanica alla rosa della prima declinazione latina, passando per lupi e stelle polari, il sovrapporsi di elementi disomogenei è il familiare calderone Etro, ma la ricetta agglutina in modo nuovo: per la scelta delle composizioni monocromatiche; per la geometria appassionata delle stampe; per le silhouette morbide e i tagli netti. Se la missione è ringiovanire, lo scopo è raggiunto.
D’improvviso, in questa temperie, le felpe, le tute e in genere lo streetwear sembrano aver perso rilevanza: non come proposta in assoluto, ma come visione di passerella. Sono potenti, nonostante tutto, le declinazioni dell’hanorak e della giacca a vento di K-way. L’energia di MSGM è un concentrato di texture e di colore, ispirata a Gaetano Pesce, tradotto in forme immediate e giocose. Il lavoro di riduzione è efficace, ma manca la sfilata – rimandata causa Covid – perché è lì che Massimo Giorgetti, direttore creativo, raggiunge davvero la sintesi.