Il tema, l’ispirazione univoca declinata dall’inizio alla fine, è pratica che nella moda di oggi usa poco. Il presente è frammentato, del resto, e i creatori seguono a ruota; persino nella haute couture, regno di un realismo per forza di cose rarefatto. La sfilata di Chanel, ospitata negli spazi grandiosi di un Gran Palais temporaneo, è una somma di elementi le cui congiunzioni non sono esattamente chiare. Il set, progettato dall’artista Xavier Veilhan, è uno spiraleggiare e salire di curve su un pavimento di sabbia.
La situazione onirica è amplificata dalla musica soffusa di Sebastien Tellier, ed è fatta detonare dall’apertura dello show, con Charlotte Casiraghi che percorre la passerella in groppa a uno splendido cavallo. Annuncio di una collezione a tema equestre? No: il cavallo e dintorni sono proprietà dell’immaginario Hermès. Il flusso segue piuttosto un ritmo fatto di continue diversioni, un po’ come un sogno nel quale tutto cambia in continuazione. A tenere insieme l’ondivago detour, il tocco vagamente geometrico di Virginie Viard, il direttore creativo che sta dando a Chanel una nuova freschezza, ma forse non abbastanza desiderabilità. Qui si celebra una donna delicata e femminile. C’è di tutto, dagli esotismi alla Bakst alle carinerie anni Cinquanta, dalla linearità anni Venti alle frivolezze anni Trenta, dai tweed al sangallo. L’esecuzione è impeccabile, e i pezzi notevoli certo non mancano, ma la poca coesione diluisce l’impatto.