Di
AFP
Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
1 feb 2022
La loro svendita è fuori discussione e la loro distruzione ormai è vietata: tra gestione millimetrica delle scorte, vendita al personale, donazioni e riciclo, i marchi del lusso si organizzano per vendere gli eventuali prodotti invenduti.

“Sono due anni che sono in corso delle grandi manovre”, in previsione dell’entrata in vigore della legge anti-spreco che, da un mese, vieta la distruzione dei prodotti invenduti, spiega all’agenzia francese AFP l’esperta di lusso Julie El Ghouzzi, dell’agenzia di consulting Cultz.
“È un argomento che è diventato importante oggi”, aggiunge, ricordando lo scandalo Burberry del 2018. Nel suo report annuale, il brand britannico rivelò che nel 2017 aveva distrutto più di 28 milioni di sterline di merci per proteggere l’esclusività del proprio marchio, ovvero l’equivalente di 20.000 dei suoi iconici trench. Dopo il trambusto che questo annuncio aveva suscitato, il marchio inglese aveva annunciato che avrebbe posto fine a queste pratiche l’anno successivo.
Le griffe del lusso ora sono “estremamente attente”, conferma all’AFP Arnaud Cadart, portfolio manager di Flornoy, “le mentalità sono cambiate, non siamo più in un’economia che dà la preminenza alla creazione sfrenata”, né che sopporta più l’idea del “non importano gli scarti, e se qualcosa non funziona lo distruggiamo”.
Perché nel lusso non si svende. I saldi possono porre “un problema di desiderabilità”, secondo Julie El Ghouzzi. “Nel lusso, se un bene costa meno, c’è meno voglia di comprarlo”.
In questo contesto, il primo passo da compiere è una rigorosa gestione dell’inventario. Kering, proprietario di marchi come Gucci, Saint Laurent o Balenciaga, indica che sta investendo a questo scopo “in tecnologie di intelligenza artificiale”.
Dal suo concorrente LVMH (Vuitton, Dior, Celine…), Hélène Valade, direttrice dello sviluppo ambientale, afferma che “il modello del lusso è (già) molto adeguato alla domanda”, con pochi stock. Tuttavia, ammette che la legge anti-spreco in Francia rende necessario conoscere ancora meglio i clienti per adeguare la domanda.
Julie El Ghouzzi sottolinea da parte sua che Louis Vuitton, il marchio di punta di LVMH, è particolarmente efficiente in questo campo: “Sanno esattamente cosa hanno in stock e sono in grado di gestire le loro scorte al millimetro”. E “non è così in molte altre maison”, sottolinea.
Quando, nonostante tutto, dell’invenduto rimane, vendere a prezzi vantaggiosi al proprio personale è una soluzione: è successo a 150.000 dipendenti di LVMH, 38.000 di Kering, 16.600 di Hermès. Oltre alle donazioni ad associazioni: LVMH ha una partnership con Cravate Solidaire, la sua maison Kenzo con Tissons la solidarité, Marc Jacobs a New York con l’associazione Fabscrap…
“Tessuti dormienti”
E poi c’è il riciclo dei prodotti in nuove materie prime. “In precedenza, un designer che aveva un’idea straordinaria doveva andare a cercare le risorse per realizzarla”, spiega Hélène Valade all’AFP. “Oggi il processo è a volte invertito: ci sono alcuni designer che partono da materiali esistenti (vecchie collezioni, tessuti dormienti nelle giacenze delle case di moda, scampoli di pelle…) e sviluppano la loro idea geniale”, si entusiasma. Un po’ come ha fatto Virgil Abloh da Vuitton.
LVMH ha inoltre siglato una partnership con WeTurn, start-up specializzata nel recupero di fibre, per la produzione di nuove bobine di filo. Da Kering, Balenciaga e Saint Laurent – per le scarpe – o anche da Alexander McQueen hanno sviluppato progetti con Revalorem, azienda che ricicla articoli invenduti dell’industria del lusso per produrre materie prime. Nel 2020 Hermès ha commercializzato 39.000 prodotti frutto di un approccio di “upcycling”.
“Le attività che distruggono di più sono la moda, la pelletteria e la cosmetica”, spiega Arnaud Cadart. Ma oggi la loro ottima salute si traduce più in esaurimenti delle scorte che in eccedenze. “Dal 2014 Hermès non ha praticamente avuto nulla da buttare via, tutto sta andando bene”, secondo Arnaud Cadart.
Da LVMH, Hélène Valade conferma che “al momento, gli articoli in pelle sono più che altro esauriti”, citando come esempio una borsa del marchio Loewe, creata a partire da scarti di pelle dei laboratori del marchio spagnolo. E questo, nonostante un prezzo di vendita al pubblico di 1.700 euro.
Copyright © 2022 AFP. Tutti i diritti riservati.