Moda

B Corp, ecco perché le pmi italiane della moda sono un modello di sostenibilità per il mondo


Anche le parole hanno un’età: se “sostenibilità” è stata invecchiata dal suo uso e abuso, su “circolarità” si intravedono già le luci del tramonto. Un altro termine, infatti, sta alimentando l’avanguardia dell’impegno delle aziende verso il pianeta, le sue risorse e i suoi abitanti: “rigenerazione”, dunque la capacità di generare più valore economico, sociale e ambientale di quello che si usa per produrre, è il concetto chiave che alimenta la ong B Lab, nata nel 2006 negli Stati Uniti e che ha messo a punto la certificazione B Corp, una delle più ambite e insieme più difficili da ottenere (per il suo funzionamento si veda in fondo all’articolo), anche per l’industria della moda, ancora una delle più inquinanti del pianeta.

La moda in cerca di una nuova e più responsabile identità

«La moda sta vivendo una crisi esistenziale – dice Eric Ezechieli, co fondatore (insieme a Paolo Di Cesare) di Nativa, azienda country partner di B Lab per l’Italia e prima azienda europea a ricevere la certificazione B Corp nel 2013 -. Sa che il modello di consumo continuo proposto per decenni, ed esasperato dal fast fashion, è ormai insostenibile. La pandemia ha certamente accelerato questa consapevolezza, come dimostra l’aumento esponenziale di attenzione per la certificazione B Corp negli ultimi due anni». Nei mesi scorsi Chloé, che fa capo a Richemont, è diventata la prima maison certificata B Corp, come Vestiaire Collective è diventata la prima app B Corp di second hand.

Le potenzialità dell’industria della moda italiana

In Italia esistono oggi 140 B Corp e rappresentano la moda sia marchi come Save The Duck e Rifò, sia aziende di filiera come Lampa, che produce accessori, e Icma, con la sua carta di alta gamma per il packaging. Con le 570mila aziende del tessile-moda-accessorio, l’influenza dell’industria italiana su questa transizione rigenerativa è cruciale. E non solo grazie alla sua massa critica, ma anche e soprattutto per il livello di sostenibilità, già avanzato, del modello produttivo del made in Italy: «Nel sistema produttivo italiano il concetto di rigenerazione, sostenibilità e qualità si legano molto efficacemente – nota Ezechieli-. L’artigianalità, il legame con il territorio e con le filiere, l’attenzione alla qualità dei materiali sono valori che possono essere un modello per il mondo. La rigenerazione può essere un nuovo attributo del made in Italy, oltre a quelli classici».

Il percorso verso la B Corp può essere lungo e complesso

Nativa accompagna le aziende nella transizione da modello estrattivo e rigenerativo, e sta lavorando con importanti aziende della moda italiana che ambiscono alla certificazione B Corp. Ma proprio per i big il percorso di trasformazione può essere ancora più complesso: «Non è facile, può richiedere anni, soprattutto se il peso del passato è molto forte – spiega Paolo Di Cesare -. E ci sono ancora delle criticità: nella comunicazione, per esempio, vediamo ancora impiegare molte risorse magari per lanciare solo una capsule collection.

L’importanza dei legacy leader nelle aziende

E il lungo percorso di transizione spesso incontra resistenza da parte di alcuni manager. Le cose cambiano con i legacy leader, persone che puntano anche alla ricchezza dell’eredità della propria azienda, al contributo che potrà dare fra molti anni. Sono sempre più numerosi , anche grazie al particolare tessuto imprenditoriale italiano, basato su pmi che hanno un forte legame con il territorio e con la comunità. E anche su questo aspetto l’Italia ha un vantaggio e può essere un modello globale».

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