I punti chiave
- Inaugurato il primo store milanese di A|X Armani Exchange, il più grande d’Europa
La moda ha una paura dannata di essere davvero popolare, eppure aspira alla massima popolarità. L’elitarismo, adesso, lo si vuole inclusivo, e se è una contraddizione in termini poco importa: nulla frena la parabola dello storytelling democratico. Basta però guardare i cartellini per cambiare idea.
Giorgio Armani con la popolarità autentica dei prezzi accessibili si è confrontato in tempi non sospetti: nel 1981 con il lancio di Emporio Armani, la seconda linea presto cresciuta, costo incluso, in una declinazione più affilata dell’Armani style, quindi di fatto non più seconda linea; nel 1991 con il lancio di A|X Armani Exchange, la collezione di superbasic trasversali dal sapore quasi industriale, con grafiche ad alto impatto visivo. Il successo fu immediato e vasto, anche se A|X è stata a lungo affare americano, con lo store di Soho, spoglio e meccanico, che divenne mecca di shopping nei ruvidi anni Novanta, e l’e-commerce lanciato nel 2000 in netto anticipo sulla parabola generale.
Tutto questo per sottolineare come Giorgio Armani, che nell’immaginario collettivo rimane il custode di uno stile discreto, elegante, venato di sottili esotismi, non abbia mai disdegnato di vendere anche alle masse i vestiti, come i profumi. Anzi, i successi di quasi cinque decadi di attività nascono proprio da un attento e sottile bilanciamento dell’elitario e del popolare, con i luccichii hollywoodiani e Pantelleria da un lato, e le mutande logate, i jeans e Acqua di Giò dall’altro. Si chiama diversificazione, ed è un piano di business ideale quanto complesso da realizzare. Il rischio è sempre che un aspetto cannibalizzi l’altro, che l’eccessiva popolarità mangi l’aspirazione, senza la quale il mass market è baratro inevitabile.
Ecco, con Armani questo non è successo, in virtù essenzialmente della forza di comunicazione dell’autore. Può certamente apparire eccessivo che, alla sua età, re Giorgio stia ancora lì a esporsi e pontificare, in materie di stile e di vita, eppure è proprio il suo metterci ogni volta la faccia che suggella il logo per tutti e i ricami per le élite in un segno unico e cangiante. La mappa della diversificazione armaniana è un piano estetico-industriale così come un approccio al commercio che è quanto mai evidente a Milano, centro di gravità permanente dei valori del marchio, con gli store divisi tra cuore prezioso del quadrilatero – la linea ammiraglia – concept store in via Manzoni-Emporio – e, da qualche giorno, il popolarissimo Corso Vittorio Emanuele II, dove lo scorso weekend, con un soft opening in linea con tempi che richiedono pragmatismo e profilo basso, Giorgio Armani ha inaugurato il primo store milanese di A|X Armani Exchange, il più grande d’Europa. La linea, riacquisita nel 2014 con un piano di ristrutturazione distributiva, dal 2017 è parte del portfolio dei tre marchi del gruppo Armani, ed è oggi in piena espansione.
È lo yang pop dello yin greige. Certo, esteticamente si citano gli anni Novanta, vero apogeo di armanismo in tutte le sfaccettature, ma l’operazione è condotta con acume, e con il desiderio di dialogare per davvero con la gente. Se inclusività popolare deve essere, infatti, qui lo è in ogni modo, dalla location alla selezione del personale, avvenuta con una open call sui social media. Ecco, è questa capacità di parlare con la gente della strada e con le star che mantiene saldo e unito l’impero, suturando il centro con la periferia. Armani da tempo influenza poco la moda, ma è diventato parte del costume popolare: una conquista da titano.