Industria

Quali sono i legami tra le industrie della moda di Europa, Russia e Ucraina?


Versione italiana di

Gianluca Bolelli

Pubblicato il



8 mar 2022

L’invasione dell’Ucraina ha colto di sorpresa le industrie europee e russe del tessile-abbigliamento. In una fase in cui i marchi di moda e le federazioni stanno aumentando il loro sostegno al popolo ucraino, FashionNetwork.com si sofferma sulla realtà delle industrie tessili ucraine e russe, e sull’impatto che il conflitto potrebbe avere in termini di sbocchi e forniture.

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L’ente di promozione dell’industria ucraina, Ukraine Invest, indica che il Paese ha più di 2.500 aziende che operano nei settori dei tessuti, dell’abbigliamento e delle calzature, di cui circa 500 nel settore tessile. Nel 2019 la filiera mostrava 16.000 persone addette alla produzione di abbigliamento/calzature, e 16.000 attive nella fabbricazione di materie prime. Due rami d’attività che nello stesso anno hanno generato entrate per rispettivamente 850 milioni e 330 milioni di dollari.
 
Tra i clienti di punta dei produttori locali, l’ente promozionale cita Adidas, Zara, Esprit, Next, Mexx, United Colors of Benetton, Tommy Hilfiger e Hugo Boss. Secondo i dati statali, il tessile-abbigliamento ucraino genera dall’80 al 90% del proprio fatturato con le esportazioni.

L’Institut Français de la Mode (IFM) indica a FashionNetwork.com che l’Unione Europea (e il Regno Unito) nel 2021 hanno esportato in Ucraina 642 milioni di euro di abbigliamento (il 2,09% del totale) e 727 milioni di euro di tessuti (lo 3,09% del totale). Come aveva fatto notare FashionNetwork.com, l’Ucraina è invece un fornitore marginale per l’UE, verso la quale il Paese ha esportato lo scorso anno 347 milioni di euro di abbigliamento (lo 0,40% del totale delle importazioni europee di vestiti) e 166 milioni di euro di tessuti (lo 0,45%).
 
Un’industria russa di portata limitata, ma comunque significativa
 
Il tessile-abbigliamento sarebbe il secondo settore industriale della Russia, dopo l’agroalimentare, con circa 4.000 miliardi di rubli di fatturato (32,7 miliardi di euro a cambi correnti, dopo il crollo del rublo). Sebbene il Paese rappresenti solo lo 0,2% delle esportazioni mondiali di abbigliamento secondo l’OMC, esso vale invece l’1,6% delle importazioni mondiali del settore (Nota bene: contro il 4,7% della Francia). Negli ultimi dieci anni, l’industria tessile russa ha visto la propria forza lavoro diminuire da 400.000 a quasi 25.000 persone prima della crisi.

La fabbrica Bosco Manufactory a Kaluga (Russia) nel febbraio 2021 – Shutterstock

Nel 2021, l’Unione Europea ha esportato in Russia capi di abbigliamento per un valore di 2,34 miliardi di euro. Pari al 7,60% delle esportazioni totali della filiera europea. “Contrariamente all’immagine che la Russia e i suoi miliardari potrebbero trasmettere, la Russia non pesa molto sulle nostre esportazioni di lusso”, sottolinea Gildas Minvielle, direttore dell’Osservatorio Economico dell’IFM, il quale sottolinea, tuttavia, che “la situazione del mercato russo potrebbe indebolire l’industria italiana, che da sola genera quasi un terzo delle esportazioni di abbigliamento nel Paese”. Sul versante tessile, la Russia capta il 3,7% delle esportazioni europee, con 860 milioni di euro.
 
Ma che dire dei fornitori russi in Europa? Sembra che le loro quote di mercato siano ancora inferiori a quelle delle loro controparti ucraine. L’anno scorso, la Russia ha esportato verso l’Europa 39 milioni di euro di abbigliamento (lo 0,05% delle importazioni europee di abbigliamento) e 98 milioni di euro di tessuti (lo 0,27% del mercato). Cifre che potrebbero rassicurare sull’impatto della guerra sulla filiera europea. Ma questo non deve far dimenticare che si traducono in un potenziale vuoto nell’offerta delle PMI europee del tessile-abbigliamento, già sotto pressione ben prima di questo conflitto.
 
Crisi energetica, di mercati e di consumi
 
La confederazione europea dell’industria tessile, Euratex, ha ricordato il 2 marzo che una conseguenza concreta del conflitto minaccia il settore nel suo insieme: l’aumento dei costi dell’energia. Gli industriali europei hanno infatti assistito dalla scorsa estate a un pericoloso aumento dei prezzi del gas e dell’elettricità. Una situazione che sta peggiorando nell’attuale braccio di ferro tra europei e russi: Mosca è un fornitore chiave di energia per l’Europa centro-orientale. La situazione è tale che, secondo Euratex, i produttori di tessuti stanno valutando la possibilità di fermare la produzione, per non poter incassare questi nuovi incrementi.

Il grande magazzino Tsum di Mosca espone un’offerta composta in gran parte da marchi esteri, ed in particolare europei – Shutterstock

Al di là degli industriali, sono i marchi e le catene di vendita al dettaglio che si trovano costrette ad affrontare sfide enormi. A cominciare da quelli che vendono in Russia. L’offerta di abbigliamento/calzature in Russia sarebbe composta solo per il 20% da marchi locali. Ora i tanti brand stranieri che vestono i russi si trovano quindi di fronte a scelte difficili. Molti grandi marchi stanno annunciando il ritiro da quel mercato, per solidarietà con l’Ucraina. Ma numerose etichette non hanno le spalle abbastanza robuste per potersi privare dei consumatori russi. E questo nonostante le incertezze sul potere d’acquisto di questi ultimi, in un momento in cui il rublo mostra una preoccupante flessione.
 
Più in generale, gli industriali europei sperano che la situazione non rallenti i consumi, e quindi gli ordini. In Francia, l’Alliance du Commerce (marchi di calzature e abbigliamento) segnala di aver già notato un calo degli ordinativi nell’ultima settimana di febbraio. La situazione è tanto più preoccupante in quanto il mercato europeo non era ancora tornato ai livelli pre-Covid. “Siamo in un clima ansiogeno, in cui si accenna spesso a una potenziale terza guerra mondiale”, riassume Gildas Minvielle. “Difficile immaginare che tutto questo non avrà un forte impatto sui consumi e sull’industria nel suo complesso”.

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