Moda

Le fiere chiudono con 30mila visite ma la guerra frena la ripresa



I punti chiave

  • Visitatori a quota 30mila divisi tra Italia ed estero
  • Aziende intimorite dall’aumento dei costi della logistica e dell’energia
  • La richiesta d’aiuto al Governo da parte delle imprese

Se il Covid ha insegnato qualcosa alle imprese (italiane e non, di moda e non solo) è a reagire in modo rapido e risoluto ai problemi che si presentano. Così stanno facendo le aziende che hanno presentato le collezioni di calzature, pelletteria e abbigliamento alla Fiera di Milano-Rho: Micam, Mipel, The One e Homi. Quattro manifestazioni che hanno fatto squadra registrando, nell’artco di cinque giorni, poco meno di 30mila presenze, equamente ripartite tra Italia ed estero.

Una vetrina per i 1.400 marchi che puntano a mettersi alle spalle il biennio di pandemia, ma si trovano a dover fare i conti con il conflitto in Ucraina e tutti i suoi effetti indiretti, tra cui le sanzioni e l’aumento vertiginoso dei costi energetici e della logistica.

Al Micam gli espositori sono 821: si va dalle Pmi ai brand più noti, passando per gli emergenti e per i progetti green, a cui è dedicato un intero padiglione. I corridoi della fiera, per la prima volta dopo due anni circa, si sono ripopolati con presenze dall’estero, soprattutto europee. Ma il peso della mancanza dell’area ex Urss e della Cina si fa sentire. «In questo momento è normale che le fiere non stiano andando al meglio: manca mezzo mondo, sia sul fronte degli espositori sia dei dettaglianti. Ma essere presenti a questa edizione di Micam è un segnale importante», dice Valerio Tatarella, fondatore e ceo di Primadonna collection, marchio barese di calzature e accessori dal prezzo accessibile. L’azienda, che ha chiuso il 2021 con ricavi per 88 milioni, ha 290 negozi in Italia e circa 30 franchisee nell’Europa mediterranea (principalmente Francia e Spagna). Non ha negozi in Russia o in Est Europa, ma fa comunque i conti con l’aumento esponenziale dei prezzi: «I costi di trasporto per chi importa dall’estero sono saliti alle stelle già nello scorso biennio. Tornare a produrre in Italia? Ho provato a riaprire una fabbrica a Trani, ma trovare personale è difficile». Molti degli espositori di Micam realizzano nei mercati ex Urss una buona fetta di fatturato.

Anche per loro esserci è un segno di forza: «La fiera sta andando discretamente – dice Fabio Rusconi, fondatore e titolare dell’omonima azienda di calzature – e c’è molta voglia di ripartire». L’azienda realizza il 90% del fatturato all’estero; il 55% in Giappone e   il 20% nell’area ex Urss ed est Europa: «La guerra ci colpisce sia sul piano del business, perché trovare un’alternativa a questi mercati è quasi impossibile, sia emotivamente, visto che in Ucraina abbiamo rapporti professionali di lunga data». C’è poi la questione Russia: «I nostri clienti hanno voglia di ordinare e stanno vendendo molto perché le persone preferiscono acquistare beni che mantenere liquidità». A Rusconi fa eco Mara Visonà, titolare dell’azienda di borse e accessori in pelle fondata dal padre Plinio, a Mipel con il brand Visonà: «Nel tempo abbiamo diversificato, ma in Russia facciamo ancora una buona fetta di fatturato. Il problema sono le sanzioni, perché i negozi continuano a ordinare e i clienti finali ad acquistare: meglio avere la merce che la liquidità». Secondo Mara Visonà la fiera «sta andando bene: abbiamo avuto visite dagli europei, area in cui stiamo lavorando meglio, e da mercati che non vedevamo da un po’ come Uk e Usa. E con atteggiamento positivo, compatibilmente con il periodo».

Un periodo in cui le aziende hanno bisogno di supporto: «Servono sostegni, soprattutto sul fronte delle esportazioni», dice Visonà. Un appello in linea con quello di Smi e Assocalzaturifici che hanno chiesto una Cig speciale al ministero del Lavoro. «Usciamo da una situazione delicata per il Covid e siamo in un momento difficile sul fronte Russia: la voglia di acquistare si scontra con la possibilità di avere canali di transazione attivi», dice Paolo Cardelli, membro del cda di Ripani, azienda abruzzese di borse made in Italy fondata nel 1967. «In fiera abbiamo visto europei e italiani: le vendite sono andate bene, i negozi in fin dei conti vanno allestiti».

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