Lo scorso 24 febbraio, mentre a Dubai i partecipanti italiani alla Jgt Dubai, organizzata da Italian Exhibition Group, si salutavano con ottimismo per l’esito della fiera, l’esercito russo iniziava l’invasione dell’Ucraina, estendendo fosche nubi sulla ripresa dell’economia planetaria afflitta da due anni di pandemia. Le sanzioni internazionali contro la Russia che ne sono derivate hanno riguardato anche l’industria dei gioielli: nel più recente pacchetto messo a punto dall’Unione Europea è stabilito anche il divieto di esportare verso Mosca beni di lusso dal valore superiore ai 300 euro; l’11 marzo il governo degli Stati Uniti, Paese fra i primi per consumo di gioielli di diamanti, ha decretato il blocco all’import di diamanti dalla Russia, il primo Paese per quantità di carati estratti. Una limitazione che potrebbe avere scarsi effetti, poiché, si nota nell’industria, i diamanti grezzi russi mantengono ancora aperto il loro importante canale commerciale con l’India, nazione che ha il primato della lucidatura e non a caso fa parte dei 35 Paesi che si sono astenuti nel voto alla risoluzione di condanna dell’Assemblea dell’Onu verso l’invasione russa.
Le conseguenze per l’export italiano
Una condanna ulteriore, però, potrebbe venire dal mercato, attraverso il boicottaggio dei gioielli creati con blood diamonds (pietre di provenienza africana e che si pensa finanzino guerre e conflitti), definizione che ora si applicherebbe anche ai diamanti russi. Stesso destino potrebbe avere l’oro russo, come sta sostenendo il movimento Global Gold Transparency, nato negli Stati Uniti proprio per sensibilizzare le aziende del settore sul tema.
Nei giorni di VicenzaOro, la fiera di settore in corso fino al 21 marzo, si riflette sulle possibili conseguenze di questi numerosi e complessi fattori: «Tutti gli inviti sono stati confermati, e a fronte delle assenze dei buyer provenienti dalle zone del conflitto o da Paesi limitrofi, ci sono molti arrivi da Stati Uniti ed Emirati – spiega Claudia Piaserico, presidente di Federorafi –. La situazione è molto volatile, può cambiare tutto da una settimana all’altra, è difficile fare previsioni. Le prime valutazioni stanno riguardando il canale commerciale con la Russia: anche se al mercato russo è diretto meno dell’1% del nostro export, ci sono danni indiretti che riguardano per esempio il mercato turco, hub di riferimento per i rapporti con Mosca, poiché ci consente di superare alcune difficoltà doganali. La Turchia, peraltro, ha avuto ottimi riscontri nel 2021 e ha attratto il 5% del volume totale del nostro export. Inoltre, il consumatore russo è un big spender nei mercati internazionali, e la sua assenza avrà ricadute negative, anche se molto dipenderà dalla durata della guerra».
Per oro e diamanti l’aiuto dell’economia circolare. Ma resta il nodo energia
Il problema dell’approvvigionamento delle materie prime è meno grave di quello dei costi dell’energia: «La Russia è il terzo Paese estrattore di oro al mondo e la nostra industria ha già affrontato oscillazioni importanti del suo prezzo – nota Piaserico –. Tuttavia, in questo settore c’è molta flessibilità, poiché ci si può approvvigionare anche da Stati Uniti e Sudafrica. E non va dimenticato che lo sviluppo dell’economia circolare, con il recupero dell’oro usato, ci consente di dipendere meno dalle nuove estrazioni. Il rincaro dell’energia, invece, si riverserà necessariamente sul prodotto finito, con un aumento del prezzo che potrebbe avere ripercussioni negative soprattutto sui gioielli di fascia media e medio-alta».
L’inflazione spingerà gli acquisti. Ma fino all’estate
Il 2021 è stato un anno di forte ripresa per l’industria orafa italiana, con un fatturato di 8,8 miliardi, in aumento del 54,6% rispetto al 2020 e soprattutto dell’11,9% rispetto al 2019. A contribuire agli ottimi risultati è stata anche la capacità adattiva delle aziende: «Bisogna osservare il mercato con umiltà e regolarsi in base ai suoi movimenti, pur non smettendo di investire su fronti importanti come la formazione», sottolinea Piaserico. Eppure proprio l’incertezza che ha segnato l’inizio del 2022 potrebbe essere un traino per gli acquisti di preziosi, nel perdurare di una tendenza che ha segnato gli anni della pandemia, coinvolgendo soprattutto la fascia più alta della produzione, e che si alimenta dei timori legati all’inflazione.