Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
18 mar 2022
Il 10 marzo il gruppo di ONG Cotton Campaign ha ufficializzato la sospensione della sua richiesta di boicottaggio nei confronti dell’industria uzbeka, che da diversi anni è stata presa di mira per il ricorso al lavoro forzato e a quello dei bambini nella raccolta del cotone. 331 marchi internazionali hanno aderito a questo boicottaggio dal 2011 a oggi. Per l’organizzazione, gli sforzi profusi dal governo uzbeko si sono concretizzati in occasione della stagione del raccolto 2021.

Cotton Campaign indica infatti che l’organismo indipendente che monitora le condizioni di raccolta del cotone dal 2009, l’Uzbek Human Rights Forum, ha segnalato per la prima volta l’assenza del ricorso sistematico al lavoro forzato nel 2021.
La notizia è il risultato di un programma di riforme stabilito nel 2017 dal governo uzbeko, in coordinamento con la Cotton Campaign, che due anni dopo ha portato a perseguire penalmente l’utilizzo del lavoro forzato nel Paese. Contestualmente erano state abolite le quote di produzione, mentre erano stati aumentati i salari, incrementando il numero dei volontari che partecipano ai raccolti.
“I membri della coalizione [Cotton Campaign, ndr.] osservano che questo risultato storico è il risultato di molti anni di duro lavoro da parte di attivisti della società civile uzbeka, di militanti internazionali per i diritti umani e di marchi transnazionali, nonché dell’impegno del governo dell’Uzbekistan per sradicare il lavoro forzato”, precisa l’organizzazione.
“Nel contempo, riconoscendo la necessità di adottare ulteriori misure per rafforzare il ruolo della società civile e creare un ambiente favorevole al successivo monitoraggio indipendente del rispetto dei diritti dei lavoratori, le parti hanno espresso la volontà di continuare una cooperazione attiva per garantire trasparenza e tracciabilità nella filiera”.

Per misurare i progressi fatti, va ricordato che Cotton Campaign ancora nel 2016 stava facendo pressioni su Washington per ottenere che l’Uzbekistan fosse mantenuto nella classifica dei peggiori Paesi in termini di lavoro forzato e minorile. L’anno successivo, l’UE ha allentato la pressione sull’industria uzbeka; troppo presto secondo alcune ONG. Nel 2019, i primi effetti della politica del governo di sradicare il lavoro forzato hanno fatto nascere la speranza che l’ex enclave sovietica, che è uno dei maggiori produttori mondiali di cotone, normalizzasse la sua situazione delle esportazioni.
È in quest’ottica che una delegazione uzbeka ha partecipato a febbraio al salone parigino del tessile e della pelle Texworld. “Siamo stati precedentemente criticati (…) per l’uso del lavoro minorile o forzato”, ha affermato lo stesso ambasciatore uzbeko in Francia, Sardor Rustambaev. “È una pratica che è stata completamente interrotta cinque anni fa”, ha voluto precisare il diplomatico ai professionisti del settore. Il 9 febbraio, l’Ambasciatore ha firmato un accordo di cooperazione con l’Unione Francese delle Industrie Tessili (UIT), volto a “promuovere il commercio bilaterale fornendo le informazioni necessarie per identificare le opportunità”.
Il vicepresidente dell’Uztekstilprom (l’associazione uzbeka dell’industria tessile), Davron Vakhabov, ha da parte sua sottolineato a febbraio che le esportazioni tessili del Paese verso l’UE sono aumentate del 169%, a 144 milioni di dollari (131 milioni di euro), nel 2021. E dovrebbero raggiungere i 246 milioni di dollari quest’anno.
Sul versante produttivo, secondo il responsabile, nel 2021 nel Paese è stato prodotto un milione di tonnellate di fibre di cotone, il che posiziona l’Uzbekistan al 6° posto nel mondo, dietro a India, Cina, Stati Uniti, Pakistan e Brasile. Fibre a cui si aggiungono 862 tonnellate di filato (65% esportato), 716 milioni di metri quadrati di tessuto (44% esportato) e 203.000 tonnellate di maglia (23% esportato).

“Stiamo puntando su grandi progetti per modernizzare la nostra industria, che è verticalizzata”, spiega Davron Vakhabov, che accenna a 4 miliardi di dollari di investimenti industriali impegnati nei prossimi 5 anni. E che fa notare come su 1,9 miliardi di capi di abbigliamento fabbricati lo scorso anno nel Paese, un terzo sia stato esportato. Tra cui 458 milioni di capi di maglieria, che fanno del tessile-abbigliamento un pilastro dell’economia locale, con il 45% dell’export totale.
Forte di oltre 7.000 aziende tessili (tra cui sei produttori di macchinari), che impiegano più di 400.000 persone, l’Uzbekistan ha esportato beni per un valore di 3,04 miliardi di dollari lo scorso anno. Il Paese punta sulla sua nuova frequentabilità per portare tale cifra a 3,3 miliardi nell’esercizio 2021.
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