Di
AFP
Versione italiana di
Gianluca Bolelli
Pubblicato il
30 mar 2022
Grazie ai filtri per microparticelle installati su un monoscafo in gara nell’ultima Vendée Globe, gli scienziati si aspettavano una fotografia unica dell’inquinamento da plastica in aree remote. E invece hanno raccolto soprattutto fibre di cotone, un’ulteriore prova dell’impatto degli esseri umani sugli oceani.

Nell’autunno del 2020, lo skipper francese Fabrice Amedeo parte per la Vendée Globe, famosa regata in solitaria intorno al mondo in barca a vela.
A bordo della sua imbarcazione “Imoca”, oltre ai misuratori di CO2 e della temperatura dell’acqua, un sensore più originale: l’acqua di mare viene pompata dalla chiglia prima di passare attraverso tre setacci da 300, 100 e 30 micron per intrappolare le microplastiche. Filtri che l’ex giornalista deve cambiare ogni 12 ore e conservare fino al suo ritorno a terra.
La sua gara si conclude prima del previsto con un ritiro al 33° giorno. Un “brutto ricordo” per lui, ha detto Amedeo durante una conferenza stampa. Ma “interessante” per gli scienziati, con un giro del mondo trasformato in giro dell’Atlantico. Lo skipper non dimentica la sua missione oceanografica sulla via del ritorno in Francia, e raccoglie un totale di 53 campioni.
Armati di pinzette, gli scienziati di diversi centri di ricerca francesi hanno passato mesi a selezionare le particelle raccolte dal filtro più grande, 300 micron. Un giorno di lavoro per ogni setaccio.
Oltre il 60% dei campioni contiene almeno una microplastica, principalmente PET e polietilene. Non proprio una sorpresa, se si considera che queste particelle provenienti dalla degradazione di sacchi, bottiglie, cannucce e imballaggi vari sono state ritrovate negli ecosistemi più isolati, perfino nella Fossa delle Marianne, la più profonda conosciuta.
In compenso, quello che “ci ha interessato molto è che quasi su tutti i campioni abbiamo anche trovato delle fibre, in concentrazioni molto più elevate, e che vi si è trovata un’alta percentuale di fibre di cotone”, probabilmente di origine tessile, spiega all’agenzia AFP Catherine Dreanno, ricercatrice all’Ifremer.
I campioni contengono il doppio di fibre di cellulosa (il principale costituente delle piante) rispetto alle microplastiche, con una concentrazione media di 5,4 fibre/m3 rispetto a 2,1 microplastiche/m3.
Tossiche per i gamberetti
La scienza ha già dimostrato che le microfibre sintetiche degli indumenti in poliestere, nylon o acrilico che vengono scaricate dalle nostre lavatrici sono una delle principali fonti di inquinamento da plastica negli oceani.
Ma questa campagna dimostra che i tessuti realizzati con materiali naturali non sono esclusi dal fenomeno: l’avvio dell’analisi del filtro da 100 micron ne mostra infatti una “proporzione ancora maggiore”, osserva Catherine Dreanno.
E “solo perché sono fibre di origine naturale non significa che non siano tossiche. Possono avere alcuni composti tossici, come i pigmenti coloranti, e assorbono le sostanze inquinanti presenti nell’ambiente”, insiste.
Sintetiche o naturali, queste fibre possono ostruire il sistema digerente di minuscoli gamberetti o crostacei che li ingeriscono. Come se un essere umano ingoiasse una corda.
Alcuni studi avevano già evidenziato la presenza di fibre di origine naturale in mare, in particolare nelle profondità del Mediterraneo.
Ma questa presenza sotto la superficie dell’Atlantico “ci intriga”, commenta Catherine Dreanno, che fa riferimento a un possibile “nuovo indicatore di inquinamento” consentito da nuove tecniche di campionamento e analisi.
“Dobbiamo ridurre l’inquinamento alla fonte”, puntualizza poi Jérôme Cachot, dell’Università di Bordeaux. “Non fermeremo tutte queste fibre con i filtri nelle lavatrici”, afferma Cachot, che chiede già di limitare gli additivi nei tessuti di cotone, come coloranti, nanoplastiche e biocidi.
Un’altra questione che è emersa grazie allo studio, sul versante delle microplastiche, è la stranezza della loro distribuzione spaziale.
È noto che la distribuzione delle microplastiche negli oceani non è omogenea. Si ammassano insieme in alcune aree sotto l’effetto di giganteschi vortici formati dalle correnti oceaniche (gyre), come la famosa “grande isola di rifiuti di plastica del Pacifico”.
“Dove avremmo ritenuto abbastanza normale trovare concentrazioni molto grandi, nel vortice subtropicale dell’Atlantico meridionale, è invece dove vediamo il numero minore di particelle”, commenta Christophe Maes, ricercatore dell’IRD. “Abbiamo nuovi dati, ma soprattutto nuove domande”. Gli scienziati attendono con impazienza le prossime gare di Fabrice Amedeo.
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