Industria

I marchi che non hanno mai risposto alle accuse di lavoro forzato degli uiguri


Versione italiana di

Gianluca Bolelli

Pubblicato il



12 apr 2022

Nel marzo 2020, l’istituto australiano si strategia politica (ASPI) ha pubblicato un tremendo e inquietante rapporto sulla difficile situazione del lavoro uiguro nello Xinjiang, una provincia chiave per la produzione cinese di cotone. Trentasette marchi del settore dell’abbigliamento sono stati citati come beneficiari dello sfruttamento di questa minoranza musulmana, in quella che Pechino descrive ufficialmente come integrazione attraverso il lavoro. Due anni dopo, non tutti i marchi di moda coinvolti hanno risposto a tali accuse.

Manifestazione pro-uiguri in Indonesia nel dicembre 2018, dunque ben prima della pubblicazione dell’indagine dell’ASPI – Shutterstock

Gli Stati Uniti hanno vietato i prodotti realizzati nello Xinjiang dal luglio 2021, mentre l’Europa ha gradualmente alzato i toni contro la Cina. La giustizia francese ha aperto un’indagine per crimini contro l’umanità contro Fast Retailing (Uniqlo France), Inditex (Zara, Bershka, Massimo Dutti…), SMCP (Sandro, Maje, De Fursac…) e Skechers, a seguito di una denuncia presentata da diverse ONG e associazioni.
 
Applicazione destinata a informare i consumatori sugli impegni sociali e ambientali dei marchi di moda, Clear Fashion si è da parte sua impegnata a fare un inventario delle reazioni dei vari marchi chiamati in causa dall’ASPI*. Il tutto in un documento reso liberamente accessibile a professionisti e consumatori.

Tra le aziende che si sono pronunciate sull’argomento ci sono Abercrombie & Fitch, Adidas, Amazon, Badger Sport, C&A, Calvin Klein, Cotton On, Esprit e H&M. Ma anche Lacoste, Nike, Patagonia, Carter’s, Polo Ralph Lauren, Target Australia, Tommy Hilfiger, Uniqlo, Victoria’s Secret, Woolworths e Zara.
 
Resta il fatto che molte strutture non hanno risposto all’ASPI, né si sono pronunciate sull’argomento. Secondo Clear Fashion è stato in particolare il caso di Authentic Brands, Fila, Dangerfield, CostCo, Cerruti 1881, Skechers, Caterpillar, Zegan, Li-Ning, L.L. Bean, Jeanswest (Harbour Guidance), Jack&Jones (Bestseller) o Major.
 
“Alcuni marchi negano di avere rapporti commerciali diretti con i fornitori coinvolti o dichiarano di non avere informazioni riguardanti i subappaltatori dei loro fornitori. Tra i marchi coinvolti, alcuni affermano di aver prevenuto questi rischi facendo firmare carte di buona condotta che vietano il lavoro forzato nelle loro catene di produzione prima dello scandalo”, sottolinea Clear Fashion. “Queste argomentazioni pongono al centro del dibattito la questione della responsabilità delle imprese sulla poca conoscenza della loro filiera e sulla conseguente mancanza di sanzioni. Questo discorso è possibile perché i marchi non sono ritenuti legalmente responsabili delle cattive pratiche dei loro fornitori”.

Laddove le ONG parlano di “campi di rieducazione”, Pechino definisce gli stessi luoghi “centri di formazione professionale” – – Shutterstock

Parallelamente al rapporto Aspi, la documentazione sull’industria tessile nello Xinjiang è stata poi arricchita dal report pubblicato dal Center for Global Policy, in cui si ricorda che nella provincia viene prodotto il 20% del cotone mondiale, e che il cotone e i suoi derivati rappresentano anche il 10% delle esportazioni cinesi. Nella primavera del 2021, l’ONG Amnesty International ha pubblicato un rapporto di 160 pagine sulle condizioni di vita e di lavoro degli uiguri nella provincia.
 
Ma sebbene l’attenzione sia posta sullo Xinjiang, sarebbe sbagliato limitarsi a quella regione: il rapporto dell’ASPI ha sottolineato che lo sfruttamento degli uiguri va oltre i suoi confini. Seguendo il “modello dell’emulazione” voluto da Pechino per integrare la minoranza con il resto della popolazione cinese, migliaia di lavoratori sarebbero mandati a lavorare in fabbriche tessili situate nelle province manifatturiere della Cina orientale. Il tutto in stabilimenti che per l’occasione vengono aggiunti di transenne e torri di avvistamento. Spostamenti effettuati volutamente da Pechino e che rendono più difficilmente tracciabile il peso reale degli uiguri nella produzione tessile cinese.
 
*Adidas, H&M, Cos, Weekday, Monki, H&M Home, &Other Stories, Arket, AFound, Lacoste, Nike, Zara, Bershka, Massimo Dutti, Oysho, Pull & Bear, Uterqüe, Stradivarius, Alexander McQueen, Balenciaga, Bottega Veneta, Brioni, Gucci, Yves Saint Laurent, Tommy Hilfiger, Calvin Klein, Amazon, Puma, Ikea, Uniqlo, Muji, Gap, C&A, Patagonia, Cotton on, Carter’s, Badger Sport, Esprit, Abercrombie & Fitch, Polo Ralph Lauren, Target Australia, Victoria’s Secret, Woolworths, Maje, Claudie Pierlot, Sandro, De Fursac, Hart Schaffner Marx, Fila, Dangerfield, Costco, Cerruti 1881, Skechers, Summit Resource International, Zegna, Hugo Boss, Asics, Li-Ning, L.L.Bean, Jeanswest, Jack & Jones, Major, Marks & Spencer.

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