Creazione

La creazione moda africana s’impone sulla scena internazionale


Versione italiana di

Gianluca Bolelli

Pubblicato il



15 apr 2022

Lo slogan del momento potrebbe essere: “Afric is the new chic”. Sembra essere infatti il momento dell’Africa un po’ dovunque nel mondo. Nell’ultimo periodo si sono susseguiti il riconoscimento a Thebe Magugu, primo africano a vincere il Premio LVMH nel 2019, che ora si prepara ad essere il primo stilista a creare una collezione per AZ Factory dopo la scomparsa di Alber Elbaz; l’uscita del libro “Swinging Africa, le continent mode” nel novembre 2021 (edizioni Flammarion) di Emmanuelle Courrèges; e la nuova Biennale d’Arte Révélations (9-12 giugno 2022) a Parigi, alla quale seguirà “Africa Fashion” al Victoria & Albert Museum di Londra (luglio 2022-aprile 2023), grande mostra dedicata alla creazione africana, dal periodo dopo la seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri.

Silhouette del brand ghanese Christie Brown, creato nel 2008 da Aisha Ayensu e supportato da Birimian. – DR

“Le cose stanno cambiando molto velocemente nel panorama della moda africana”, afferma la giornalista francese Emmanuelle Courrèges, cresciuta in Africa occidentale, fondatrice anche di Lago54 (piattaforma per la promozione e la rappresentazione della scena della moda africana) e addetta stampa della stilista camerunense Imane Ayissi. “A poco a poco, un certo numero di attori e finanziatori odierni si stanno rendendo conto che c’è un potenziale significativo in quel continente, ma anche la necessità di dare spazio a quelle voci che inventano il futuro. Nelly Wandji ed io siamo arrivate ​​molto presto (otto anni fa con Moonlook e cinque anni facon Lago54), in un momento in cui la moda Made in Africa interessava a pochissime persone. Abbiamo aperto la strada, abbiamo partecipato alla realizzazione di ciò che sta accadendo oggi”.

Copertina del libro “Swinging Africa” di Emmanuelle Courrèges (Edizioni Flammarion) – DR

E quello che sta succedendo oggi era già sotto gli occhi degli analisti. “Negli ultimi anni, un’economia in via di diversificazione ha consentito l’emergere di una classe media in Africa, stimolando così la domanda di prodotti di largo consumo, di servizi e di marchi di lusso”, annunciava il Cabinet Deloitte nel suo studio “I consumi in Africa, il mercato del XXI secolo” (giugno 2015). “L’aumento della domanda dei consumatori, insieme a una crescita annua vicina all’8%, dovrebbe portare a un incremento di circa 1,1 miliardi di dollari statunitensi del PIL africano entro il 2019. Infatti, Costa d’Avorio, Camerun, Etiopia, Uganda e Mozambico sono tra i mercati in più rapida crescita e le grandi economie come Nigeria, Sudafrica, Marocco ed Egitto mantengono le loro buone performance. L’opportunità di consumo in Africa si basa su cinque pilastri chiave: l’ascesa della classe media, la crescita della popolazione, il predominare dei giovani, l’urbanizzazione dilagante e la rapida adozione delle tecnologie digitali”.

Kente Gentlemen, collezione Autunno-Inverno 2022/23 – Foto: Alexander Tako – DR

E, nonostante un periodo Covid ovviamente complicato nel continente, più che mai nel 2022 l’Africa brilla. “Finalmente, il continente sta riprendendo il controllo della sua immagine e della sua narrativa”, confida Laureen Kouassi-Olsson, fondatrice e General Manager di Birimian, società di investimento dedicata al supporto finanziario, strategico e operativo per i marchi di lusso e premium dall’heritage africano. “È una terra di opportunità dove i brand hanno compreso appieno le sfide di oggi, ma coltivano quei valori che gli sono propri, traendo ispirazione dal passato e dall’artigianato. Con Birimian dimostro che la moda africana esiste e che può essere redditizia”.
 
Infatti, in appena un anno di esistenza, Birimian ha già stretto una partnership con l’IFM offrendo un programma che supporta i creatori africani in tutte le fasi del loro sviluppo. Intanto, l’ultimo salone di Première Classe Tuileries ha accolto sette creatori del collettivo: Christie Brown, Kente Gentlemen, Mille Collines, Rich Mnisi, Shekudo, This Is Us e Umòja. “Abbiamo avuto un buon riscontro e i buyer presenti ci hanno dimostrato che avevano bisogno di vedere cose nuove e hanno fatto degli ordini”, dice Laureen Kouassi-Olsson.

Un altro dato, che conferma l’attuale interesse per l’Africa: Birimian ha appena stretto un’alleanza con Trail (società europea indipendente di investimento di capitali), che detiene un portafoglio di dodici società tra cui Wella, APM Monaco o l’agenzia di comunicazione Mazarine, dedicata ai marchi di lusso e premium. In programma per Birimian e i marchi africani, un approccio industriale che crea più valore, delle sinergie operative, ma anche, per il solo Birimian, l’apertura di una filiale a Parigi negli uffici di Trail.

Sneaker del brand Umòja viste al salone Première Classe Tuileries – Foto: Kim Weber

Tutto ciò mostra quanto l’Africa possa essere una forza propositiva. “L’industria della moda è ogni giorno più satura in Occidente. E anche tra le migliori case di moda, il continuo ricorso agli archivi, ai temi degli anni ’80 e ’90, la dice lunga su una creatività che fatica a rinnovarsi”, sottolinea Emmanuelle Courrèges, fondatrice di Lago54. “I designer africani portano una boccata d’aria fresca. Se la loro offerta è in sintonia con i mercati del nord del pianeta è perché offrono ciò che io chiamo “l’uguale e il diverso”. Qualcosa di uguale, con forme che ci parlano e ci rassicurano, e qualcosa di diverso, con ciò che è proprio delle loro culture. I creatori africani di moda sono dei narratori. Non solo apportano nuovi tessuti o artigianato ad alto valore aggiunto, ma raccontano anche nuove storie. Ci fanno imbarcare con loro. Finora solo le grandi maison potevano parlare di métiers d’art, ovvero di artigianalità. La moda occidentale sta scoprendo che anche gli stilisti africani hanno i loro mestieri artigianali e sanno meravigliosamente bene come abbinarli a stili perfettamente inseriti nella moda del tempo”.
 
Nuove piattaforme online
 
Composta da una popolazione giovane e connessa, l’Africa sta anche consentendo un boom delle nascite di piattaforme web rivolte alla comunità. A inizio anno la start-up ivoriana Afrikrea ha raccolto 5,4 milioni di euro di fondi e ha colto l’occasione per cambiare nome e diventare Anka (che significa “il nostro” negli idiomi bambara e dioula).
 
Il suo obiettivo? Diventare LA soluzione tutto-in-uno che consente ai propri utenti non solo di vendere e spedire i loro prodotti in tutto il mondo, ma anche di ricevere i propri fondi tramite mezzi di pagamento internazionali, africani o locali, e inoltre di espandere la propria gamma di prodotti digitali a più canali di vendita al dettaglio. Oggi Anka vende in 47 dei 54 Paesi africani e ha completato oltre 30,9 milioni di euro di transazioni in 174 nazioni mondiali. Più dell’80% dei suoi venditori sono donne, che hanno aumentato il loro reddito in media del 50% da quando sono entrate nella community del marketplace.

Homepage del marketplace Fashionomics Africa – DR

Sulla sua scia, l’ultima settimana della moda di Parigi ha permesso a Jedaya (che significa “grato” in shona, una lingua bantu parlata in Zimbabwe) di far parlare di sé. Il marketplace digitale punta a riunire i maggiori brand del lusso e gli stilisti più all’avanguardia del panorama della moda africana. Il suo obiettivo: consentire loro di raggiungere una clientela più inclusiva (afroamericani, africani, profughi africani della diaspora e latini) attraverso dei contenuti dedicati.
 
Parallelamente sono emerse altre iniziative. Così, il marketplace Fashionomics Africa della African Development Bank ha lanciato con i suoi partner un nuovo concorso di moda sostenibile dotato di un premio di 6.000 dollari. Mentre l’Ethical Fashion Initiative (EFI), collegata all’ONU, ha la missione di aiutare i designer basati in Africa ad affermarsi. Vero e proprio incubatore, l’EFI punta a generare opportunità di business mettendo in evidenza creatività e talento in diversi settori come l’arte, la fotografia, il cinema e la musica, lavorando con il settore privato per rafforzare la cultura e aumentare le esportazioni culturali.
 
L’Africa è dunque il nuovo mercato e continente da seguire e in cui investire? “Sì, lo credo”, conclude Emmanuelle Courrèges, che sta riposizionando la sua piattaforma Lago54 attorno a vari progetti speciali e che, a maggio, svelerà il suo nuovo concept: una collaborazione tra Lago54, sei brand africani e una grande piattaforma di moda digitale. “Ci sono due ragioni per questo: in primo luogo, questa boccata d’aria fresca che la creazione africana porta in un universo saturo. Poi, c’è un desiderio crescente degli africani e dei profughi africani, ovunque si trovino, di consumare “africano”, per sostenere i loro designer. È un misto di orgoglio e impegno, con il desiderio di partecipare a uno sforzo economico a favore delle industrie creative africane. Vedendo anche la crescita delle classi medie africane, e che sono loro, con le élite, ad essere anticipatrici dei consumi, tutto ciò mi fa pensare che ci troviamo all’inizio di qualcosa che crescerà”.

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