Di
Ansa
Pubblicato il
27 apr 2022
Le aziende italiane di pelli e calzature tornano all’Obuv Mir Kohzi di Mosca. Una circostanza che ha diviso l’opinione pubblica tra chi sostiene la scelta degli imprenditori per le loro aziende, già provate da crisi economica e pandemica prima ancora della guerra in Ucraina, di esporre i loro prodotti nel Paese artefice dell’invasione, e chi invece la ritiene non opportuna.

Gli imprenditori sono arrivati nella capitale russa con un volo dalla Serbia e hanno dovuto attendere circa 3 ore nello scalo di Mosca a causa di controlli approfonditi e dettagliati su documenti e anche su smartphone.
“Sì, è vero. Siamo a Mosca a vendere le nostre scarpe, frutto del lavoro quotidiano di centinaia di dipendenti dietro cui ci sono famiglie, di artigiani che il mondo ci invidia. Qual è il problema? La legge è chiara, non stiamo violando nessuna sanzione, non stiamo andando contro la strategia anti guerra in Ucraina decisa dall’Europa”, dice l’imprenditore marchigiano Valentino Fenni, vicepresidente di Assocalzaturifici, delegato al mercato russo, est Europa e made in Italy. “Forse non è chiaro a tutti, ma se noi non fossimo a Mosca oggi, all’Obuv, ne approfitterebbero i produttori turchi e cinesi in primis”, aggiunge.
“Le sanzioni non bloccano articoli che costano meno di 300 euro”, spiega Fenni, “ma l’esclusione del sistema bancario russo da Swift sta rendendo complicato, al limite dell’impossibile, il pagamento della merce regolarmente venduta. Qualcuno deve rispondere e trovare soluzioni. E cosi come, dopo le promesse di mesi fa, nulla si sa più in merito alla cassa integrazione straordinaria necessaria a tutelare i conti delle aziende e i posti di lavoro”.
Il vice presidente di Assocalzaturifici sottolinea che “siamo partiti superando dubbi, paure e difficoltà logistiche”. “Sono anni”, insiste che produttori turchi e cinesi “cercano di prendersi una fetta di questo mercato che abbiamo conquistato a fatica e consolidato attraverso decenni di fiere e di investimenti in collezioni pensate proprio per russi e ucraini. Un mercato che, in Italia, solo nell’ultimo anno ha comprato quasi quattro milioni di paia di scarpe made in Italy”, sottolinea Fenni.
Le polemiche sollevate a livello politico non scalfiscono le convinzioni degli imprenditori del distretto fermano-maceratese: “Noi siamo il volto dell’azienda, ma il corpo è fatto di decine di persone che lavorano. Il futuro di ogni dipendente è nelle mani dell’imprenditore che però da solo non può tutto. Il sostegno delle istituzioni in questi momenti è fondamentale”, insiste Fenni. “La Regione Marche e la Camera di Commercio delle Marche l’hanno capito e ci hanno confermato quanto deciso molti mesi fa, ben prima dello scoppio della guerra: un sostegno economico, di massimo quattromila euro, per partecipare all’Obuv. Una goccia per noi, ma è un segnale di vicinanza molto importante. Quella che ancora, dopo crisi e pandemia, non abbiamo avuto dal Governo”.
La campagna di Russia dei calzaturieri è ormai diventata un caso nazionale: “Tutti hanno capito che non siamo degli opportunisti senza cuore, ma solo persone che vogliono garantire il lavoro e quindi la sussistenza a migliaia di famiglie. Era opportuno fare la fiera? Forse no, ne siamo consci”, ammette Fenni. “Ma siccome era programmata e i buyer stanno partecipando confermo che era necessario. E ognuno dei 51 imprenditori italiani, di cui 28 del nostro distretto, sono lì a dimostrarlo. Questa è una questione nazionale, non certo marchigiana vista la presenza a Mosca di toscani, lombardi e veneti e romagnoli. Confindustria e Confindustria moda lo sanno e ci stanno supportando, cercando soluzioni a livello politico”, conclude il vicepresidente di Assocalzaturifici.
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