Di
Ansa
Pubblicato il
13 giu 2022
In principio era una veste a forma di T, dalle linee dritte, che arriva fino alle caviglie. Ma nel corso dei secoli il kimono, l’abito tradizionale giapponese, si è evoluto stabilendo un ponte tra Oriente ed Occidente, fino anche a diventare parte del tessuto di diverse società contemporanee. Questa trasformazione, in particolare dal 18esimo al 20esimo secolo, viene esplorata nella mostra al Metropolitan Museum di New York, ‘Kimono Style: The John C. Weber Collection’ (allestita fino al 20 febbraio 2023).

L’esposizione comprende oltre 60 kimono, in parte provenienti da donazioni della John C. Weber Collection of Japanese art, in parte dalla collezione del Costume Institute, in aggiunta a stampe giapponesi e oggetti di arte decorativa. È divisa in ordine cronologico lungo dieci gallerie.
“Il kimono è oggi ancora un indumento, ma la sua storia è cambiata notevolmente”, spiega all’Ansa la curatrice Monika Bincsik. “Per secoli è stato come una tela su cui descrivere e documentare la storia delle donne. Dal tipo di tessuto, dal ricamo, dai colori si poteva identificare la classe sociale e persino l’età, ad esempio tonalità più scure erano tradizionalmente indossate da donne sposate e in età non più giovane. Per il mondo occidentale e per i designer il kimono ha fatto da catalizzatore nell’ispirare nuovi temi, disegni e tagli per dare più libertà a chi indossa un abito, creando un spazio tra il corpo e gli indumenti”.
Non a caso il kimono ha contribuito a liberare la donna dalle costrizioni del corsetto. Il punto di rottura è stato agli inizi del 20esimo secolo, quando lo stilista francese Paul Poiret disegnò un abito indossato nel 1919 all’Opera di Parigi che appunto rompeva con gli schemi tradizionali.
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