Erano quasi due anni e mezzo che alla Fortezza da Basso di Firenze non si vedeva un’affluenza così per Pitti Uomo, la più importante fiera al mondo della moda maschile, che si è aperta ieri: 682 i marchi, per il 41% esteri, che presentano le collezioni primavera-estate 2023. Dinamismo e voglia d’investire sembrano tornati, ma è cambiato dal gennaio 2020, quando il Covid era ancora un’ipotesi di scuola: le aziende oggi sono obbligate a focalizzarsi sugli aspetti produttivi per le difficoltà nel reperire materie prime e per gli aumenti dei costi energetici e di logistica, che stanno portando incrementi dei listini nell’ordine del 5-10%. Riuscire a produrre e consegnare nei tempi fissati è diventata la sfida cruciale, tanto più importante in una fase in cui l’industria italiana della moda maschile (9,4 miliardi di ricavi 2021 per il 70,6% all’export, con un saldo commerciale di 2,6 miliardi) sta lavorando per tornare ai livelli pre Covid, superiori ai 10 miliardi.
«Il cambio di paradigma indotto dalla pandemia – spiega Claudio Marenzi, titolare del marchio di fascia alta Herno e presidente di Pitti Immagine, la società che organizza la fiera – è stato riportare l’attenzione sulla parte operations e sulla logistica: oggi le aziende devono organizzarsi per programmare le produzioni e per riuscire a realizzarle, devono investire in tecnologie e in risorse umane. Quelle più grandi possono farcela, le piccole dovranno aggregarsi per non morire». Herno chiuderà il 2022 con oltre 140 milioni di fatturato (+15% sul 2021), per il 75% all’export, superando i livelli pre Covid grazie al boom degli Usa, al buon andamento della Germania, alla ripresa di Giappone e Corea.
Progetta aperture di negozi (20 nei prossimi quattro anni) in Europa e Usa il gruppo veneto Slowear (marchi Incotex, Zanone, Glanshirt e Montedoro), che torna a Pitti col progetto Incotex Blue Division, sviluppato con l’azienda veneta Giada, eccellenza del denim. «Tra due settimane apriremo un flagship store di 200 metri a New York – spiega l’ad Marco Bernardini – e quest’anno passeremo da 34 a 45 milioni di fatturato, per quasi il 70% all’estero. Nel 2023 poi continueremo a crescere e torneremo a un risultato positivo. Le difficoltà di approvvigionamento si stanno facendo sentire e stiamo pensando di avvicinare alcune produzioni: per fortuna oggi il made in Italy fa meno paura a tutti».
Poter contare su una filiera produttiva vicina e controllata direttamente è stata la salvezza per Lardini, marchio marchigiano di abbigliamento formale che al Pitti Uomo presenta una capsule collection con Pietro Terzini, diretta a un pubblico giovane: «Durante il Covid abbiamo aiutato i nostri fasonisti – dice il presidente Andrea Lardini, 70 milioni di fatturato a fine 2022 –. In questo momento c’è possibilità di crescere ma solo per le aziende produttive sane, che hanno una filiera strutturata e possono assicurare prodotto e servizio».