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“Nella FHCM c’è un lavoro di squadra, non un one man show”

Versione italiana di

Gianluca Bolelli

Pubblicato il



1 lug 2022

Dalla sua nomina nel 2014, in due mandati come presidente, Toledano ha saputo riunire con successo un team di amministratori delegati che la pensano allo stesso modo e che hanno supervisionato l’importante rilancio della federazione e il rafforzamento del posto unico che Parigi occupa nell’ecosistema della moda mondiale. La nomina del suo successore, Bruno Pavlovsky, è stata annunciata ufficialmente venerdì pomeriggio.

Ralph Toledano – DR

Un decennio fa, la posizione di Parigi come settimana della moda più importante del pianeta – sia di moda maschile che femminile – era forse minacciata. Ma durante il mandato di Ralph Toledano, la reputazione della città come primus inter pares, o prima tra pari, è ritornata ad accelerare, posizionandosi ben davanti a quelle di Londra, Milano o Parigi.

Nel corso di una straordinaria carriera, Ralph Toledano ha guidato, in varie fasi, le carriere creative di una mezza dozzina di designer di fama mondiale. Trent’anni fa era l’amministratore delegato di Karl Lagerfeld, in un periodo di notevole crescita per l’iconica griffe della leggenda tedesca dello stile. Toledano è stato anche l’uomo che ha scoperto Alber Elbaz, portando alla ribalta il brillante designer israeliano, lui che lavorava per Geoffrey Beene, e facendolo assurgere al rango di superstar da Guy Laroche. Successivamente diresse Stella McCartney da Chloé, e dopo la partenza della figlia del bassista e cantante dei Beatles per fondare la propria casa di moda, è stato presidente della maison quando Phoebe Philo divenne la stilista più ammirata nella Parigi di inizio secolo. Toledano è stato anche presidente di Jean-Paul Gaultier, e oggi la sua missione principale è presiedere il brand di Victoria Beckham.

Non sorprende, dunque, che quando il nome ‘Ralph’ viene pronunciato nei circoli parigini della moda, la gente di solito pensa al 70enne Ralph Toledano, non a un americano di nome Lauren. Non male per un originario di Casablanca, emigrato a Parigi a soli 18 anni. E allora ci siamo seduti con lui per parlare del suo incarico presso la Fédération, per ascoltare gli elogi che rivolge ai suoi colleghi dirigenti, ma anche per il suo management all’interno dell’organizzazione.

Ralph Toledano con Alber Elbaz – DR

FashionNetwork.com: Quando è diventato presidente della federazione, quali erano le sue ambizioni per il futuro della struttura?
Ralph Toledano: In primo luogo, consolidare e rafforzare il ruolo di Parigi come capitale mondiale della moda. Secondariamente, si trattava di realizzare un vecchio sogno: creare a Parigi una scuola di moda che potesse competere con le più grandi e diventare la migliore del mondo. Eravamo molto irritati, quando eravamo di gran lunga i più forti in termini di potere economico, per il fatto di dover reclutare i nostri stilisti fuori dalla Francia. Avevamo la scuola della Chambre Syndicale, ma era soprattutto tecnica, non era dedicata alla creazione.

Il terzo obiettivo, che per me è sempre stato importante, era quello di dare veramente un fortissimo impulso ai brand emergenti. Il quarto target è stato quello di adottare una governance che fosse in linea con le esigenze del mondo d’oggi, ma soprattutto trasparente, chiara e che fosse comprensibile da tutti. L’ultimo punto importante era che la federazione non comunicava. Volevo che la federazione comunicasse in momenti precisi e su argomenti importanti, per spiegare quale fosse la posizione di Parigi.

Una volta annunciato tutto questo… Ebbene, bisognava trovare i mezzi finanziari. La creazione della scuola ovviamente significava molti soldi da trovare. E poi, personalmente, avevo un sogno, anzi un desiderio molto intenso. Avevo parlato tanto con persone al di fuori e avevo l’impressione che la federazione fosse considerata come una specie di biglietteria dove si andava per avere uno slot per una sfilata. Ho detto stop. Abbiamo deciso che la federazione sarebbe diventata un’organizzazione che si occupava di tutte le questioni legate alla moda e soprattutto che integrava tutta la gente della moda. Davvero, tutte le persone della moda! Doveva diventare la casa della moda, la casa delle aziende, ma anche la casa degli artisti, la casa degli stilisti, la casa dei produttori. Quello era il mio sogno.

FNW: Viviamo in un’epoca, un’era in cui le donne occupano sempre più posizioni di responsabilità. Storicamente, c’erano donne sarte e designer, ma relativamente poche donne in posizioni decisionali. Quale ruolo ha svolto la federazione nell’invertire questa tendenza?
RT: È una questione molto importante. Quando andavamo alle riunioni della federazione vedevamo tanti uomini, poche donne. Il mio predecessore era un uomo, il predecessore del mio predecessore era un uomo. In tutte le camere sindacali c’erano sempre stati uomini come presidenti e quella era una vera anomalia. Tanto più che credo che le donne siano molto più competenti degli uomini per comprendere appieno il mondo della moda. È la mia opinione. Personalmente, ho sempre lavorato con un 80% o 90% di donne intorno a me. Hanno questa sensibilità, quella intuizione che spesso manca agli uomini.

La prima donna a entrare nel comitato esecutivo, in cui fino ad allora erano stati presenti solo uomini, fu Francesca Bellettini. Eravamo in quattro, c’era Sidney Toledano, Guillaume de Seynes, io e Bruno Pavlovsky. Quindi lei era la quinta.

Poi, quando sono state rinnovate le camere sindacali, abbiamo chiesto alle donne di presentarsi perché quello che ho notato è che spesso non osavano. All’interno della Fédération ci sono tre Chambre Syndicales – per l’haute couture l’abbigliamento donna e l’abbigliamento uomo. Abbiamo subito avuto Séverine Merle (CEO di Celine), Francesca Bellettini, per l’uomo e per la donna. Poi sono state sostituite da altre donne, Elsa Lanzo (CEO di Rick Owens) e Anouck Duranteau (CEO di Isabel Marant). È un processo che incoraggerò e che mi pare molto importante.

Sfilata Saint Laurent PE 2022, ai piedi della Torre Eiffel – Pixel Formula

FNW: Come vi paragonate rispetto alle altre tre maggiori capitali della moda (Londra, Milano, New York)? In che modo il web ha trasformato il peso di ognuna?
RT: Primo, non mi piace parlare degli altri. La grande storia, il grande cambiamento, è stato al tempo della pandemia. Ricordo benissimo, per miracolo siamo riusciti a finire le sfilate di febbraio 2020. E poi dopo, molto velocemente, ci siamo posti la questione dell’organizzazione della sessione maschile di giugno, della donna e dell’alta moda di luglio.

Stavamo già pensando al digitale. Ma a pochi giorni dalla fine delle sfilate di febbraio, ci siamo detti: “Testiamolo”. C’è stata un’assemblea generale della moda maschile e ne abbiamo parlato. E tutti i partecipanti ne erano entusiasti. Era il maggio del 2020.

Da quel momento in poi, la squadra della federazione ha fatto un lavoro straordinario! Immediatamente abbiamo stabilito un contatto con Launchmetrics con cui abbiamo creato questi siti. E questo è ciò che amo: una federazione ha un lato istituzionale e in questo caso siamo stati degli imprenditori. Dovevamo trovare la soluzione alternativa. Questo mi dà una grande soddisfazione.

L’intero team della federazione è stato totalmente coinvolto e abbiamo ottenuto la prima piattaforma. Penso che questo sia stato il grande punto di svolta nella nostra digitalizzazione. Dopo ovviamente l’abbiamo esteso alla couture, poi alla donna, poi abbiamo sviluppato le sezioni, proposto interviste… Non abbiamo parlato solo di sfilate nelle nostre rubriche, abbiamo anche esteso i temi affrontati all’arte e alla cultura.

Allo stesso tempo, abbiamo sviluppato la nostra presenza sui social network. Eravamo a 0 su Instagram e siamo arrivati ​​a 700.000 iscritti. Vi siamo molto presenti! È stato tanto, tanto gratificante. Ricordo che all’inizio degli anni 2000, prima che assumessi la carica di presidente, la gente si lamentava di non essere informata come a New York.
 
In quel caso abbiamo messo davvero la federazione al centro dell’azione degli anni ’20 del Duemila. Ci siamo anche occupati di questioni di ordine pubblico, sia in Francia che a Bruxelles, e dei temi degli invenduti, della digitalizzazione, dello sviluppo sostenibile, del know-how, dell’istruzione e molti altri ancora. Questo è un nuovo campo di lavoro per la federazione e credo che abbia assunto una nuova dimensione.

Il cuore della moda batte a Parigi – Dior Homme

FNW: Ha accennato al tema del finanziamento della federazione, che però non ha lo stesso budget del British Fashion Council, per esempio. Quest’ultimo è da 3 a 4 volte maggiore di quello della FHCM e anche New York ha un budget da 2 a 3 volte maggiore. Come cambiare le cose?
RT: Si tratta di una questione a proposito della quale penso necessario lavorare molto. In effetti, una delle prime decisioni che ho preso è stata quella di aumentare le quote da versare come contributi. Non ricordo più le cifre esatte, ma penso fosse il 2014. Quando sono arrivato e mi è stato presentato il budget per l’anno successivo, è stato un po’ difficile realizzarlo. Il contributo è basato sulla dimensione delle aziende. Ma le quote sono molto basse rispetto a quelle di Londra, New York o Milano.

Forse in passato la federazione era troppo lontana dai membri aderenti, che non capivano cosa poteva portare loro e che quindi non avevano il desiderio di aumentare i loro contributi… È possibile. Il fatto è che, indipendentemente dalla scuola, abbiamo notevolmente aumentato i servizi ai soci in tutti i settori (commissione per lo sviluppo sostenibile, commissione per l’innovazione, commissione giuridica, commissione legale). Abbiamo organizzato seminari e corsi di formazione. Abbiamo lavorato molto sui servizi per i membri. Durante la pandemia, abbiamo aiutato i giovani brand. L’asse della federazione era principalmente orientato verso i nuovi marchi. Quando sei un grande marchio e aderisci a uomo, donna e couture, il contributo diventa più sostanzioso, ma per i marchi giovani è molto, molto basso.

FNW: Come avete trovato i soldi per la scuola?
RT: È stata finanziata per l’85-90% dai membri del comitato esecutivo e da grandi gruppi e marchi come Richemont, Lanvin, LVMH, Saint Laurent, Hermès e Chanel. Abbiamo raccolto praticamente quasi sei milioni di euro. Allo stesso modo, abbiamo creato il nuovo dipartimento “marchi emergenti”, di cui Serge Carreira si occupa in modo fantastico e che fornisce molti servizi alle giovani aziende. Ora istituzionalizzeremo un budget per aiutare i marchi emergenti.

FNW: La nuova generazione è una priorità?
RT: È per questo che abbiamo creato la scuola! Perché ci dicevamo: “Siamo la più grande capitale mondiale della moda, ma stiamo cercando persone all’estero”. All’epoca provenivano tutti dalla Central Saint Martins. Volevamo che le persone venissero da Parigi. E la prima promozione, la prima laurea dell’IFM, è quest’anno.

Pascal Morand – DR

FNW: Pascal Morand è uno degli attori più importanti della FHCM…
RT: Pascal, che abbiamo assunto come presidente esecutivo, è il mio partner. Lavoriamo insieme ogni giorno. Pascal è un economista esperto di tecnologia e sviluppo sostenibile. È una persona che conosce perfettamente il sistema accademico. E inoltre è estremamente colto e intelligente. La FHCM fa un lavoro di squadra, non è un “one man show”.

FNW: Crede che riuscirete a consolidare la reputazione di Parigi nel panorama della moda internazionale?
RT: Ne sono sicuro. Vedo stilisti che sfilano all’estero e vogliono venire a Parigi. Inoltre Parigi è sempre stata la capitale della moda femminile e oggi è anche la capitale della moda maschile. C’è stato un periodo in cui era Milano.

L’Haute Couture ha vissuto momenti difficili e oggi è molto forte. È indiscutibile. Ma questo non significa che durerà per sempre. Per definizione è precaria e il nostro compito è assicurarci che duri. Vogliamo continuare ad accogliere designer stranieri. Abbiamo avuto i giapponesi, i belgi, i cinesi, gli spagnoli, gli inglesi. Solo a Parigi trovi tanti designer stranieri. È la nostra forza! Alle riunioni ho sempre detto “Raise the ball!”. Preferirei avere meno défilé ma molto belli, piuttosto che molti défilé ma poco interessanti.

FNW: Perché, secondo lei, a livello internazionale i designer provenienti dalle nazioni del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno avuto un impatto minore rispetto ai designer delle Big Four (le quattro capitali della moda)?
RT: Detesto il termine prodotto di lusso, perché non significa nulla. Se ho molta sete, il mio lusso è bere. Se sono disoccupato, il mio lusso è lavorare. Se lavoro troppo, il mio lusso è non lavorare. In un determinato Paese, anche se c’è una richiesta di prodotti molto sofisticati, bisogna prima soddisfare i bisogni primari: il cibo, l’istruzione, le prime attività di svago. È quando si creano classi più istruite e più ricche che c’è una domanda e quindi necessariamente un’offerta. Le cose cambieranno; sono sicuro che ci saranno sempre più designer africani o cinesi. Daremo il benvenuto in particolare a Shang Xia alla prossima settimana della moda di Parigi.

FNW: Quali saranno i maggiori compiti del suo successore?
RT: Il suo compito più grande sarà quello di proporre un programma eccitante, motivante e ambizioso.

FNW: Nella sua lunga carriera, quali sono le cose più importanti che ha imparato e che ha voluto mettere in atto nella federazione?
RT: TEAM, TEAM, TEAMWORK e ascolto. Per me il lavoro di squadra è sempre stato fondamentale. E come mi ha detto un medico: “Più ci sono persone intelligenti al tavolo, meglio è”. E ci credo fermamente! Credo molto nelle persone e che debbano parlarsi direttamente. Un comportamento che oggi è in pericolo. Nella nostra attività non dobbiamo dimenticare le persone, gli uomini e le donne. In nome della crescita, del marketing, le persone lavorano sempre più isolate e si sentono sempre più sole. Credo che le cose vadano bene quando uomini e donne sono felici.

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