Il mondo va a rotoli, gli animi si esacerbano, le disparità sociali crescono a dismisura e l’enclave dorata e privilegiata della haute couture, con i suoi gioielli, cappelli, strascichi e corsetti, appare sempre più giurassica. Nello stile e nei modi, più che nella sostanza: il privilegio è cosa vera e indistruttibile, e che si traduca in una appropriata formula vestimentaria è naturale, perché succede da sempre. In barba alla odiosa, ipocrita retorica inclusiva, la moda non è mai stata escludente come adesso.
Passerella rialzata da Schiaparelli
La settimana parigina dell’alta moda apre con un piglio da restaurazione: si torna all’antico. Ironia della sorte, visto che le intenzioni dell’autore erano altre, l’avvio, da Schiaparelli, si svolge proprio sulle note della colonna sonora di Jurassic Park. Su una passerella rialzata – non la si vedeva da decenni – nel buio fumoso perforato dagli occhi di bue, è in tripudio di drappeggi scultorei, crinoline, guepiere che hanno in effetti qualcosa di antico, di compiaciutamente anacronistico, non fosse per i capezzoli birichini che occhieggiano ovunque. La ricerca di modernità non è certo la priorità del direttore creativo Daniel Roseberry, ormai perfettamente padrone della storica maison, fondata dall’indomabile e coltissima Elsa, cui il Musée des Arts Décoratifs dedica una mostra retrospettiva aperta in concomitanza dello show, che ne evidenzia invece la durevole modernità, la leggerezza ineffabile e inarrivabile (nella foto in alto, a destra, un look della sfilata).
Echi del passato
Quel che a Roseberry interessa è esprimere un mondo di bellezza che fa sognare, senza i messaggi e i concettismi farlocchi che adesso vanno per la maggiore. In questo senso lo scopo è raggiunto, tra barocco, svolazzi aurei e i continui ripescaggi di Gaultier e Lacroix che di Roseberry sono la sigla. A tratti, però, la collezione è cosí settata su un immaginario d’antan – ci sono in mezzo anche Saint Laurent e il Dior di Ferrè – da sembrare disegnata da un adolescente introverso che insegue una fantasia da manuale. Ed è qui che torna Jurassic Park. «Ho scelto questa musica – dice il direttore creativo – perché per me rappresenta il ritorno a quando mi sono innamorato della moda, che erano proprio quegli anni. A mia madre che mi chiedeva perché non volessi disegnare per grandi catene come Walmart, rispondevo: perché non fanno sognare». Viva il sogno, allora, che si avveri o meno purché allevi lo spirito.
Femminilità e femminismo, mix magico di Dior
Da Dior, Maria Grazia Chiuri esplora un territorio di femminilità soft che è molto vicino alla sua precedente incarnazione professionale, ossia la co-direzione creativa di Valentino (nella foto in alto, a sinistra, un look della sfilata). Le silhouette a corolla dipanate in lungo e in largo fino ad ora, con meritato successo di pubblico, cedono il passo ad un allungamento lieve, ad una grazia virginale, a toni neutri che ripuliscono il palato e resettano il codice. L’impressione di familiarità, però, è solo un affare di linee – grandi mantelli monacali o piccole giacche, e abiti lunghi, vaporosi, accollati – perché il lavoro sulle superfici, con gli incastri di pizzi e i ricami a punto croce, e poi il proliferare di motivi da albero della vita generati da un lavoro dell’artista ucraina Olesia Trofymenko, sono invece coerenti non solo con la narrativa femminile e femminista che Chiuri porta avanti nella maison, ma anche con un interesse vivissimo e conservativo per l’artigianato nelle sue più alte espressioni. Lo show ha una nota folk particolarmente decisa, cui la palette neutra toglie ogni aspetto costumistico. Chiuri parla di «abiti con un senso di memoria, non legati ad una stagione». Si respira un senso di storia, un amore viscerale per la manualità che è toccante (qui sotto, il finale della sfilata).
I primi dieci anni di Valli
Parla di couture come arte dell’eccellenza Giambattista Valli, che celebra un decennio esatto dal lancio dell’alta moda. In due lustri, quello che era nato come business d’affezione è diventato un affare solido per Valli, la cui coerenza estetica è incrollabile ed encomiabile. Anche qui l’immaginario echeggia epoche passate e gloriose, in particolare i sessanta e settanta più eccentrici, ma non c’è nostalgia, solo il desiderio di omaggiare la bellezza femminile con creazioni esatte come un segno di matita oppure fiorite e spumeggianti. Le cose più belle sono anche le più leggere, perché si muovono e danzano. Nel calendario della couture, da qualche stagione, si infilano anche marchi il cui spirito è vicino a quello dell’alta moda, ma il cui prodotto è industriale.