Moda

L’alta moda di Armani Privé guarda agli anni 20, Chanel stupisce anche con l’allestimento


L’aria che si respira alla couture di Parigi in questi giorni va à rebours. Contrariamente al racconto ecumenico diventato ormai comune, all’inclusione cosí fervidamente predicata per ogni dove, sembra essere tornato in auge il più assoluto privilegio: quel modo un po’ antipatico che la moda ha, da sempre, di ignorare quanto succede nel mondo, folleggiando stolidamente al seguito di big spenders che sono sempre più spendaccioni ma anche sempre di meno, adesso che fortune enormi si concentrano nelle mani di pochissimi mentre la miseria dilaga altrove. La notazione non intende essere moralistica: l’opportunità di mercato è reale, non coglierla sarebbe criminale. E poi è come la moda opera da sempre, qualunque sia poi la narrativa che sceglie per abbindolare chi la segue, chi aspira, chi difficilmente potrà. Quel che sorprende adesso, piuttosto, è il ritorno di un modo e di un immaginario che affondano le radici in decenni ormai passati. Alla meglio, è voglia di sognare, di evadere, di suggerire altri scenari lontani dalle brutture e dalle catastrofi, non esibizione antipatica.

Gli anni venti secondo Giorgio Armani

È cosí che la pensa Giorgio Armani, che da Armani Privè guarda agli anni venti del decò – decade amatissima e spesso citata – e a Tamara de Lempicka, donna indipendente e volitiva, spregiudicata e controcorrente. Armani la definisce petillante, ossia frizzante. Ma è pur sempre di Armani che si parla: il frizzare e lo spumeggiare sono contenuti dentro un perimetro rigoroso eppure vibrante, fatto di linee nette, colori grafici, bagliori pervasivi. È proprio il moltiplicarsi dei volumi a catturare il nuovo spirito escapista, quella che Armani chiama una «atmosfera di dolce allegria; il piacere sottile di stare con la vita». L’eleganza assoluta, invece, è quella di sempre, la sfilata termina in una meritata standing ovation.

Anche il tweed diventa lusso per pochi

Da Chanel, Virginie Viard non sembra seguire una vera narrativa di collezione: dai tweed allungati alle vestine di seta optical passando per il bianco e nero vaporoso, in passerella succede molto, senza grande coerenza se non gli stivali da gaucho che ricorrono come accessorio. Non mancano i bei vestiti, e il set concepito dall’artista Xavier Vaillant – tutto un intrecciarsi di archi mobili e strutture in bilico – è una gioia per gli occhi e una esperienza giocosa, ma è davvero poco per un marchio tanto glorioso. Anche qui, come altrove, non si gioca la carta ecumenica. Questo è lusso per pochi, come conferma del resto la scelta della location: maneggio a pochi metri, ville patrizie tutto intorno.

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