Moda

Promuovere l’artigianato italiano più sostenibile: la missione del nuovo Ad Hoc Atelier


Eravamo quattro amici a Barcellona, che sognavano di far conoscere a tutti le eccellenze dell’artigianato made in Italy. La celebre frase cantata da Gino Paoli, riscritta così, suona perfetta per raccontare la nascita di Ad Hoc Atelier: si tratta di un marketplace che offre una selezione di marchi dell’artigianato made in Italy, creato nella primavera del lockdown da quattro amici, appunto, studenti universitari bloccati a Barcellona, dove stavano frequentando un master. «Durante una cena, un nostro coinquilino olandese chiese a uno di noi dove avesse comprato la sua camicia. Gli abbiamo risposto che appena possibile sarebbe dovuto andare da un artigiano di Monterosso, in Liguria», racconta Lorenzo Colucci, co-fondatore di Ad Hoc Atelier insieme a Carolina Du Chene, Giovanni Friggi e Vittorio Tatangelo, tutti under 30.

I fondatori di Ad Hoc Atelier: da sinistra Giovanni Friggi, Carolina Du Chene, Lorenzo Colucci e Vittorio Tatangelo

Da un’intuizione al lancio della piattaforma

Da quella battuta, l’idea: «Riflettendoci, ci siamo resi conto di come l’artigianato italiano mancasse di un’adeguata esposizione digitale, che non ci fosse ancora un modo facile per raggiungere gli atelier, a fronte di molta curiosità e domanda, soprattutto dall’estero – prosegue Lorenzo, che è anche responsabile marketing della piattaforma -. A quel punto abbiamo deciso di dedicare allo sviluppo di questa intuizione le nostre tesi di laurea, ognuno di noi secondo la propria formazione. Poi abbiamo iniziato le nostre carriere, io in una multinazionale, gli altri nella consulenza, ma sotto sotto abbiamo sempre alimentato Ad Hoc, iniziando anche a confrontarci con vari partner. E a un certo punto abbiamo deciso che Ad Hoc Atelier sarebbe stato il nostro futuro».

Dunque è stato grazie a uno dei primi casi della «Great Resignation», l’abbandono in massa dei lavori pre-Covid teorizzato da Anthony Klotz, professore di Management alla Mays Business School del Texas, che il marketplace ha preso forma, anche grazie all’interesse e ai primi sostegni di Astra Incubator, programma italiano di pre-accelerazione per start up.

Obiettivo 200 marchi, tutti con la stessa qualità e ricchi di storie

Ad Hoc Atelier è online dal 1 aprile e offre al momento circa 100 marchi, che entro i prossimi mesi dovrebbero arrivare a 200. Organizzati per categoria merceologica e per città, gli atelier più numerosi si trovano a Milano, Roma, Firenze, Napoli, ma appaiono anche aziende di Genova, Torre del Greco, Mantova, Desenzano del Garda, Catania e Pantelleria. Quello di Ad Hoc Atelier è anche un viaggio geografico nelle storie, nei distretti e nelle tecniche del made in Italy: a Capri, per esempio, sono confezionati gli abiti di Y’AM Capri, mentre dal distretto del Cadore provengono gli occhiali fatti a mano di Farben; da Trani le borse di N.D.B. 968, da Teramo le maglie ricamate da Flò-ra, da Milano marchi già con una storia di riconoscibilità come Chité per l’intimo e Giulia Tamburini per i gioielli.

Filiera corta e corretta gestione delle risorse al centro della selezione

«Per noi l’attività di scouting è fondamentale, tutto parte dalla qualità del prodotto – continua Lorenzo -. Abbiamo un team apposito che viaggia per selezionare i marchi, anche su segnalazione o per passaparola. Dobbiamo verificare l’offerta e la storia degli artigiani, non esiste un prodotto di qualità senza persone di qualità». Per essere presenti su Ad Hoc Atelier i prodotti devono essere fatti in Italia, secondo pratiche sostenibili, dunque con una filiera corta e trasparente, condizioni dei lavoratori eque, senza sfruttamento di risorse naturali né sprechi. Per accorciare ulteriormente la filiera, l’ordine di un prodotto viene gestito direttamente dall’artigiano che lo riceve e che deve poi spedirlo. «Noi inviamo il corriere per il ritiro e la consegna, ma ci occupiamo anche del controllo del packaging, del customer service e degli eventuali resi», aggiunge.

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