Industria

Lusso: ripensare la filiera è una priorità per il settore


Versione italiana di

Gianluca Bolelli

Pubblicato il



18 nov 2021

Durante l’assemblea pubblica dell’associazione Sistema Moda Italia (SMI), tenutasi in presenza il 17 novembre a Palazzo Mezzanotte a Milano, non ha parlato solo il neo-presidente di SMI Sergio Tamborini, succeduto a Marino Vago, ma anche Luca Bettale, partner di Long Term Partners, l’ufficio italiano di OC&C, per presentare la relazione “Quale futuro per la filiera italiana del tessile-moda”, nella quale ha analizzato le tematiche più significative per l’industria del tessile-abbigliamento.

Uno Maglia: il produttore di maglieria è stato acquistato da Holding Industriale – holdingmoda.it

Le lezioni apprese dalla pandemia porteranno le aziende della moda e del lusso a rivedere a fondo la propria catena di approvvigionamento, lavorando più vicino ai loro fornitori per guadagnare in flessibilità, integrando ulteriormente una logica di sostenibilità. Una rivoluzione destinata ad accelerare la razionalizzazione dell’intera industria tessile e dell’abbigliamento. Sono queste le conclusioni a cui è giunto lo studio presentato da Luca Bettale.
 
Nei primi nove mesi del 2020, l’industria globale del lusso ha perso 13 miliardi di euro, in diminuzione del 31% rispetto al 2019. Questo calo ha colpito le imprese in modo non uniforme. Il 40% di loro ha risentito di un calo delle vendite superiore al 35%. Nei beni personali di lusso, il calo della domanda è stato del 20%-25%. In questo periodo di ripresa, l’altissimo di gamma è destinato a riprendersi in maniera più forte e veloce rispetto al segmento premium.

Come sottolinea l’autore del rapporto, la ripresa è solo parziale, con i mercati europeo e giapponese ancora lontani dal livello pre-pandemia e un flusso turistico ancora a mezz’asta, mentre emergono nuove criticità, portando incertezze su incertezze, come l’esplosione dei prezzi dell’energia e delle materie prime. A ciò si aggiungono le grandi tendenze di fondo, che hanno accelerato con la pandemia: l’esplosione degli acquisti locali, l’ascesa delle generazioni più giovani, che hanno gusti nell’abbigliamento orientati verso una moda più comoda a discapito del formalwear, e poi la personalizzazione sempre più richiesta di prodotti e servizi, la crescita della digitalizzazione (passata dal 5% al ​​20% del fatturato dei marchi), la sostenibilità che è diventata un prerequisito nella maggior parte degli acquisti di lusso e, infine, l’importanza della tecnologia.
 
“Con il Covid-19 gli operatori del mercato hanno preso coscienza dell’estrema vulnerabilità del loro modello di fronte alla discontinuità della domanda. Si deve tenere conto anche di nuovi parametri, come la crescita in tutti i mercati della fortissima attenzione ai temi ecologici, che determina sempre più l’acquisto di un bene di lusso, soprattutto tra i giovani. Questi ultimi vogliono la circolarità e vanno dai brand che la applicano”, indica il ricercatore.
 
In questo contesto diventa urgente per l’industria del lusso adottare un processo decisionale più rapido e soprattutto rivedere il proprio modello operativo, a partire da organizzazione interna, coinvolgimento con i propri fornitori e logistica a monte e a valle. L’obiettivo è quello di proteggersi meglio di fronte a situazioni di rischio, ad esempio non riempiendo più magazzini e negozi all’inizio della stagione, ma mantenendo i prodotti in un sito centrale per distribuirli secondo necessità. I brand devono integrare nel loro modello di business due nuovi elementi fondamentali, sostiene ancora Luca Bettale: il valore del tempo, che è diventato molto più importante, e la sostenibilità.
 
Verso un’ottimizzazione del numero dei fornitori
 
Secondo lui, questa radicale riorganizzazione porterà le aziende a ottimizzare il proprio portafoglio fornitori, individuando le carenze della propria catena d’approvvigionamento e i mezzi per porvi rimedio. “Le aziende stanno tutte valutando un cambio di fornitori per scegliere i più reattivi e quelli in grado di adattarsi ai vincoli della produzione sostenibile. Ci stiamo muovendo verso una selezione molto forte, dove ci saranno inevitabilmente vincitori e vinti. Su questo tema l’Italia è in pole position e deve restarci. Ci sarà quindi un necessario riavvicinamento con i fornitori e programmi condivisi tra le due parti, in termini di sostenibilità e responsabilità sociale”, osserva Bettale.
 
“Per avviare un simile cambiamento sono fondamentali la tecnologia e la grande scala. Significa creare l’intero processo con un apporto tecnologico fondamentale e una connessione tra tutte le parti interessate. Sono necessari grandi investimenti, così come un approccio su larga scala, che può essere effettuato in maniera orizzontale, ad esempio attorno alla produzione dello stesso tipo di prodotto, o in verticale, offrendo un servizio completo”, spiega Luca Bettale.
 
Visione e flessibilità
 
Concretamente, questa nuova visione implica per i fornitori di offrire creatività continua e uno sviluppo rapido dei prototipi, essendo in grado di fornire costantemente idee a marchi molto richiesti. Essi devono inoltre pianificare e gestire la domanda producendo lotti economici più piccoli da consegnare a ritmi più frequenti. La consegna non deve più essere considerata come una deadline, ma come un appuntamento.
 
Introdurre flessibilità durante tutto il processo in questi nuovi modelli di produzione significa anche condividerne i costi con i clienti. Allo stesso modo, i fornitori dovranno condividere obiettivi e costi con i marchi in termini di investimenti pluriennali per lo sviluppo sostenibile. Un’evoluzione che spingerà il settore ad aggregarsi ulteriormente. Ciò si traduce, da un lato, con una verticalizzazione che mostra sempre più case di moda e gruppi di lusso che acquistano i propri fornitori, e dall’altro, con le operazioni di aggregazione condotte da fondi di investimento.
 
“In sintesi, bisogna puntare sulla vicinanza della produzione. Via quindi Cina, Vietnam, Bangladesh e India, spazio a una piattaforma europea e ad un po’ più di Turchia. Occorre focalizzarsi su modelli più efficienti per stabilire un rapporto più flessibile con fornitori più reattivi, pur mantenendo un’estrema attenzione all’ambiente”, conclude Luca Bettale.

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